Einstein e la bicicletta, passione ed equilibrio
La teoria della relatività ha 100 anni, l’invenzione della bicicletta qualcuno in più. Che sia anche merito dell’azione ossigenante delle due ruote, se il cervello di Einstein modificò per sempre la nostra prospettiva sullo spazio e sul tempo?
scritto da Claudio Gregori per rivista BC
Albert Einstein era un grande appassionato di escursioni, di vela e di bicicletta. In sella alla quale diceva di aver concepito la sua teoria scientifica più famosa. E che leggeva come una metafora della vita. Non aveva la patente. Si muoveva a piedi o in bicicletta. Non era un superman. Era anzi stato scartato alla visita di leva per i piedi piatti e le varici. Era, però, un ottimo camminatore, un velista appassionato e un ciclista felice.
L’immagine di Einstein che sfreccia nel campus del Caltech, California Institute of Technology, è un’icona a un tempo della storia della scienza e della bicicletta. Quella foto è dell’inverno 1931. Einstein andò per tre inverni consecutivi – nel periodo 1931-33 – a Pasadena in California, chiamato dal premio Nobel Millikan. Conobbe gli astronomi di Mount Wilson, in primis Edwin Hubble – era stato campione di salto in alto delle highschool dell’Illinois e un asso della squadra di basket dell’University of Chicago – e pedalò per le strade della California con Judah Magnes, con cui aveva fondato l’Università Ebraica di Gerusalemme, e con Walther Mayer, il suo assistente di matematica. Tre ebrei in bicicletta.
Einstein aveva 52 anni. Aveva imparato ad andare in bici da ragazzo. Amava soprattutto camminare. Quando abitava a Pavia, nella casa che fu di Ugo Foscolo, andò a piedi da Casteggio a Genova.
Rischiò anche la pelle nella scalata del Säntis, 2502 m, in Svizzera, ma fu salvato da un compagno di scuola.
Quando, a 23 anni, fu assunto a Berna, aveva fondato un club di amici, che chiamò Accademia Olimpica: con loro, parlando di fisica, la domenica si spingeva a piedi anche fino al lago di Thun, distante oltre 25 chilometri. Nella storia della fisica c’è la traversata del passo del Maloja, che fece nel luglio del 1913, insieme a Marie Curie, già due premi Nobel, una ciclista ancor più appassionata. Il suo primo sport era la vela, che praticò in modo spericolato nei laghi svizzeri e berlinesi, ma anche nel Baltico e nell’Atlantico, oltre che nel Lake Carnegie di Princeton. Non sapeva nuotare, ma sfiorava gli scogli e le altre imbarcazioni e non usava il salvagente, perché amava la semplicità e la leggerezza.
Per questo aveva eliminato i calzini e si faceva la barba con lo stesso sapone con cui si lavava.
La bicicletta era il suo terzo sport, ma lo affascinava. In una lettera al figlio Eduard scrisse: “Das Leben ist wie ein Fahrrad. Man muß sich vorwärts bewegen, um das Gleichgewicht nicht zu verlieren”. La vita è come una bicicletta. Si deve avanzare, per non perdere l’equilibrio. Per il più grande scienziato del Novecento la bici era terapeutica. Un giorno, parlando della teoria della relatività speciale, confidò: “Mir ist es eingefallen, während ich Fahrrad fuhr”. Mi è venuta in mente, mentre andavo in bici.
Nel 1905 Einstein aveva 26 anni ed era solo un “perito tecnico di terza classe dell’Ufficio Brevetti di Berna”. Eppure, nello spazio di sette mesi, pubblicò tre lavori rivoluzionari. Scoprì e spiegò l’effetto fotoelettrico (17 marzo), per cui avrà il Nobel nel 1921, il moto browniano (11 maggio), la relatività ristretta o speciale (30 giugno la prima versione, 27 settembre la seconda con la celebre formula E=mc2 ).
Il suo cervello era bene ossigenato dalla bicicletta.
Dunque, pedalate e pensate.